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Capitalismo vs razzismo – I parte

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Prima parte di due della traduzione del brano Equal Pay for Equal Work: Capitalism vs. Racism, tratto dal volume Capitalism di George Reisman, capitolo VI, parte 1, paragrafo 4. Reisman illustra il processo con cui la funzione imprenditoriale opera spontaneamente una uniformazione dei salari tra esponenti di diversa razza e sesso, contrariamente all’opinione diffusa che serva invece il pugno del legislatore per correggere le deviazioni del sistema capitalistico dalla “corretta morale”.

* * *

 

Salari

capitalism reismanIl principio di “uniformità dei salari” va inteso nel senso che, nel sistema capitalistico, esiste una forte tendenza a che per l’esecuzione del medesimo lavoro si percepisca una eguale retribuzione. Nonostante l’opinione prevalente secondo cui il capitalismo realizzerebbe discriminazioni arbitrarie nei confronti di quei gruppi come i “neri” e le “donne”, la realtà è che lo scopo di lucro dei datori di lavoro provoca l’eliminazione di tutte le differenze nella retribuzione che non siano basate su differenze nel rendimento lavorativo. Dove queste differenze persistono,  esse sono il risultato dell’intervento governativo o della coercizione posta in essere da privati e autorizzata dal governo.

Quando lo scopo di lucro è libero di operare, se due tipi di lavoro sono ugualmente produttivi, ed uno è meno costoso dell’altro, i datori di lavoro sceglieranno il meno costoso perché, così facendo, potranno abbattere i propri costi e aumentare iprofitti. L’effetto della scelta del lavoro meno costoso, però, è di aumentare la sua remunerazione, in quanto adesso è soggetto ad una domanda maggiore; mentre l’effetto del trascurare il lavoro più costoso consiste in una riduzione della sua remunerazione, dal momento che adesso è soggetto ad una domanda minore. Questo processo continua fintanto che le remunerazioni dei due tipi di lavoro diventano o perfettamente eguali oppure la differenza residua è cosi piccola che nessuno ne tiene conto.

A dimostrazione del fatto che anche le differenze molto piccole tra i salari non potrebbero permanere nel sistema capitalistico, considerate il seguente esempio. Ipotizzate che i lavoratori bianchi con un certo livello di abilità siano pagati 5$ all’ora. Ipotizzate, poi, che i lavoratori di colore con lo stesso livello di abilità possano essere assunti per appena il 5% in meno, cioè appena 25 centesimi all’ora in meno. Ipotizzate che un’industria impieghi 500 lavoratori con questo livello di abilità. Con una settimana lavorativa di 40 ore, per 50 settimane all’anno, questa insignificante differenza nei salari orari comporterebbe un risparmio nei costi del lavoro e un corrispondente ulteriore profitto annuale pari a 250,000$ se il proprietario dell’industria impiegasse 500 lavoratori di colore invece dei 500 bianchi (perché 25 cent. x 500 x 40 x 50 = 250,000$).

Anche nel caso di un piccolo stabilimento che impieghi solo 10 lavoratori, il risparmio annuale in termini di costo del lavoro, e quindi l’ulteriore profitto legato all’assunzione dei lavoratori di colore, sarebbe 5,000$ (dal momento che 25 cent. x 10 x 40 x 50 = 5,000$) – abbastanza da permettere al proprietario di acquistare una nuova auto ogni anno o per operare significativi miglioramenti nella propria impresa.

 Si può dubitare che ci siano tanti datori di lavoro così intolleranti da voler indulgere nel proprio pregiudizio in favore dei bianchi ad un costo di 250,000$ l’anno, o anche di 5,000$ l’anno. La chiara conseguenza di tutto ciò è che anche sottili differenze nei salari renderebbero l’impiego dei lavoratori di colore rispetto ai bianchi praticamente irresistibile. Non solo un differenziale del 5% nei salari non sarebbe sostenibile, ma neanche uno del 2% o persino dell’1%. Ogni differenziale di questo tipo spingerebbe i datori di lavoro ad assumere i lavoratori di colore preferendoli ai bianchi, e perciò comporterebbe un ulteriore aumento nei salari dei lavoratori di colore ed una ulteriore diminuzione nei salari dei bianchi, fino al raggiungimento di una perfetta uguaglianza.

Infatti, i datori di lavoro alla ricerca di profitto, proprio perché tali, sono del tutto indifferenti alla razza. La loro regola è: tra due lavoratori egualmente validi, assumi quello che è disposto a lavorare per una minore quantità  di denaro; tra due lavoratori  disposti a lavorare per la stessa quantità di denaro, assumi il lavoratore con le migliori capacità. La razza è semplicemente irrilevante. Ogni considerazione di razza significa costi extra e minori profitti; trattasi di un cattivo affare nel senso letterale del termine.

Si dovrebbe comprendere come uno dei più grandi meriti del capitalismo sia quello per cui i datori di lavoro sono praticamente costretti, per loro natura, ad ignorare la razza. La libera concorrenza nel capitalismo assicura questo risultato. Infatti, anche se inizialmente la maggioranza dei datori di lavoro fosse così fanaticamente intollerante da voler rinunciare ai profitti ulteriori per il gusto del proprio pregiudizio, essi non avrebbero il potere di impedire a una minoranza di datori di lavoro più razionali di guadagnare questi profitti extra (“razionalità” in questo contesto significa non esprimere giudizi morali su una persona in base alla sua appartenenza razziale e non permettere a questo giudizio di superare la voglia di profitto. Un giudizio di questo tipo rappresenterebbe una contraddizione logica in quanto la moralità attiene solo ad atti per i quali è possibile una scelta. L’irrazionalità è allora costituita dal sacrificio di un proprio bene oggettivo – l’ottenimento di un profitto – per il gusto di un giudizio irrazionale.)Grazie ai loro più alti profitti, i datori di lavoro più razionali avrebbero un reddito relativamente maggiore tramite il quale risparmiare ed estendere la propria impresa rispetto alla maggioranza irrazionale. Inoltre, operando a costi minori, potrebbero permettersi di vendere a prezzi minori e perciò aumentare ancor più i profitti, sottraendo clienti alla maggioranza irrazionale dei datori di lavoro. Il risultato sarebbe che i datori di lavoro più razionali tenderebbero a rimpiazzare quelli meno razionali in termini di importanza economica. Essi andrebbero a dettare le tendenze dell’economiae i loro atteggiamenti sarebbero trasmessi agli altri datori di lavoro, che cercherebbero di emulare il loro successo. In questo modo, il capitalismo garantisce praticamente la vittoria della razionalità sulla intolleranza razziale.

Questa discussione costituisce, inoltre, una confutazione delle accuse secondo cui, nel sistema capitalistico, le competenze e le abilità dei gruppi come quello delle persone di colore non siano utilizzate. Lo scopo di lucro, quando non ostacolato, conduce i datori di lavoro a porre i membri di tutti i gruppi nella più alta posizione che le loro competenze e qualifiche permettono. Considerate il seguente esempio. Ipotizzate che un esperto tornitore debba essere pagato 15$ all’ora, e che i lavoratori di colore che hanno appreso questa abilità in una scuola professionale siano attualmente impiegati come bidelli a 5$ l’ora. Qualunque datore di lavoro che li impiegasse  come tornitori a 10$ all’ora aggiungerebbe perciò ai suoi profitti 5$ per ogni ora del loro lavoro, rispetto all’impiego di lavoratori bianchi.

È ovvio che nel sistema capitalista, se le competenze e le abilità dei lavoratori di colore o di chiunque altro fossero sprecate in lavori poco qualificati e a bassa retribuzione, sarebbe nell’interesse finanziario personale del datore di lavoro cambiare questa situazione e ricercare quei lavoratori, in molti casi incorrendo anche in notevoli costi per la loro formazione. Di conseguenza, maggiore è il grado in cui le competenze e le abilità di un gruppo sono sprecate, maggiore è il profitto che può essere ottenuto modificando questa situazione. Ad esempio: se un lavoratore di colore, con la capacità di svolgere il lavoro da 100,000$ all’anno di vicepresidente di una società,stesse lavorando come commesso per 20,000$ all’anno, sarebbe nell’interesse di un datore di lavoro scovarlo e rettificare la sua situazione ancor più che nel caso del tornitore che lavorava come bidello. In questo caso, il datore di lavoro potrebbe duplicare il salario del lavoratore di colore, portandolo a 40,000$ e allo stesso tempo aggiungere 60,000$ ai propri profitti impiegandolo in una funzione appropriata alle sue competenze e abilità.

Certamente, come nel caso iniziale, i salari e gli stipendi dei lavoratori di colore impiegati nei lavori più qualificati e di più altro livello tenderebbero a corrispondere sempre più a quelli dei bianchi che svolgono i medesimi lavori. Perché se i datori di lavoro si facessero concorrenza tra loro per aggiudicarsi i lavoratori di colore, i salari di questi aumenterebbero laddove, per competere con i lavoratori di colore, i lavoratori bianchi dovrebbero accettare delle riduzioni. Infatti non appena le prime persone di colore, o i membri di altri gruppi in una situazione simile,fossero impiegate in una occupazione in cui non erano prima rappresentati e dimostrassero con successo la propria abilità con prestazioni effettive e soddisfacenti, ne seguirebbe un effetto dinamico: la rottura del taboo, seguita dalla prova visibile della sua carenza di fondamenta razionali, cambierebbe il modo in cui queste persone sono considerate. La domanda per i loro servizi allora aumenterebbe di molto (la storia del campionato di serie A di baseball ne fornisce una eccellente illustrazione. Una volta rotto il taboo sull’accesso delle persone di colore grazie all’impiego dell’abilissimo Jackie Robinson, tutte le barriere all’accesso caddero presto.)

Unitamente al fatto che la libera concorrenza coi membri del cosiddetto gruppo di minoranza possa comportare una caduta nei salari del membro medio del gruppo già costituito, in particolare i lavoratori maschi bianchi, dovrebbe essere compreso come ciascuna di queste riduzioni nei salari sarebbe parte di un processo teso all’aumento dei salari reali – lo standard di vita – del membro medio di tutti i gruppi. Perché esso sarebbe accompagnato da una riduzione nei prezzi dei beni di consumo maggiore di qualsiasi riduzione nel reddito monetario (al netto della tassazione) goduto dal membro medio dei gruppi già costituiti. Questa conclusione sarà definitivamente dimostrata nei capitoli successivi di questo libro.

Certamente, nessuno degli sviluppi di cui sopra può verificarsi nel caso siano ostacolati dall’esercizio della forza fisica. Ad esempio, quando i membri del Ku Klux Klan locale danno fuoco alla fabbrica di chi impieghi lavoratori di colore invece che bianchi, poiché certi di non essere puniti dalla legge. Oppure quando gli ufficiali del governo locale si attivano immediatamente per scovare ogni tipo di violazione delle normative edilizie, sanitarie e di sicurezza a carico di tale imprenditore, al punto da compromettere ogni sua attività: come conseguenza, nessun datore di lavoro cercherà più di avvantaggiarsi del basso salario delle persone di colore, dunque il salario di queste non tenderà a pareggiare quello dei bianchi aventi eguali competenze.

Sebbene non motivato dal pregiudizio razziale, ciò che è inoltre capace di interrompere l’avanzata delle persone di colore (e delle donne), sopratutto negli impieghi di alto livello, è un sistema di tassazione che sottragga la maggior parte del profitto addizionale ottenibile sfidando la consuetudine e ponendo in essere le necessarie innovazioni per condurle negli impieghi in cui non erano precedentemente rappresentate. Settori i cui profitti sono limitati dal governo, come le “public utilities”,  o il cui prodotto è acquistato secondo il principio del costo maggiorato (cost-plus), come quello degli appaltatori della Difesa, non hanno infatti alcun incentivo finanziario a porre in essere tali operazioni. Sicuramente in un ambiente dove la dannosa regolamentazione governativa può essere sguinzagliata in ogni momento praticamente su ogni impresa, o dove si possono accaparrare preziosi privilegi o sussidi governativi – cioè,ambienti dove non paga avere nemici o offendere qualsiasi gruppo significativo ed in cui,come dice il proverbio, “agitare le acque” non porta vantaggio – gli uomini d’affari non si affretteranno a realizzare tali controverse innovazioni e occupazioni. Ironia della sorte, misure come le leggi in materia di pari opportunità sul lavoro escludono direttamente la possibilità stessa di impiegare le persone di colore o le donne a salari più bassi per lo stesso lavoro come i bianchi o gli uomini. Esse perciò impediscono agli imprenditori di trovare insolitamente profittevole – profittevole abbastanza per iniziare a sfidare le tradizioni e le consuetudini basate su niente più che vuoti stereotipi – l’impiego di persone di colore o di donne nelle posizioni più alte.

Le discussioni successive mostreranno i particolari effetti distruttivi del salario minimo e delle legislazioni pro sindacati sulle persone di colore nell’impedire la possibilità stessa di un loro significativo avanzamento.

Tratto da Capitalism di George Reisman

Traduzione di Miki Biasi

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